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Gregucci: “Serve società solida che non prenda in giro i tifosi. Se metti in discussione Sousa sin dal primo giorno…”
29/05/2024
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Sentirlo parlare di calcio è sempre un piacere, lui che ha lasciato un pezzo di cuore a Salerno e che, in due stagioni su tre, è riuscito a dare una mano alla Salernitana. La redazione di TuttoSalernitana ha avuto il piacere di intervistare l’ex tecnico granata Angelo Adamo Gregucci che, con competenza e senza giri di parole, ha spiegato così le cause del flop di questa stagione:

Come ci si può rialzare dopo una stagione del genere?

“Spero anzitutto che la Salernitana possa ripartire con una società solida, capace di sfruttare l’enorme potenzialità di Salerno che offre talenti in grado di trasmettere il senso d’appartenenza. A me accadde con Molinaro e Palladino, ragazzi straordinari. Retrocedere in questo modo è indecoroso, il finale di stagione doveva essere all’altezza di una straordinaria tifoseria. C’è stato solo quello scatto d’orgoglio contro la Juventus, passata dall‘1-1 interno con la Salernitana alla vittoria in coppa con l’Atalanta. Insisto sull’importanza del settore giovanile, prendendo ad esempio proprio l’Atalanta che ha vinto una coppa Europea schierando tre calciatori provenienti dal vivaio. Il concetto di senso d’appartenenza deve essere alla base della programmazione, altrimenti non vai da nessuna parte”.

Qual è stato l’errore principale?

“Se si mette in discussione la guida tecnica già all’inizio, non c’è speranza. Avete dimenticato tutte le chiacchiere quando Paulo Sousa decise di parlare con il Napoli? Quando cambi tante volte allenatore, gli ostacoli nascono da soli. E’ vero che nel corso della stagione la Salernitana ha avuto qualche opportunità per rimettersi in gioco, tuttavia la discontinuità ha fatto la differenza in negativo. Se poi l’attaccante principale, reduce da una stagione super, resta fuori tutto l’anno è palese che la gestione sia stata sbagliata.

Improvvisamente chi aveva salvato la squadra è diventato il problema. E’ da queste cose che si vede la chiarezza programmatica. Quando ti rendi conto che non c’è volontà di restare, ma non lo cedi se l’offerta non è pari alle aspettative si va incontro ad una serie di difficoltà. Io dico, comunque, che occorre onestà intellettuale con i propri tifosi. C’è ambizione? Lo si dica! Ci sono difficoltà economiche e bisogna ridimensionarsi un po’? Si esca allo scoperto. Salerno è quella città che ti sa dare una grossa mano nel momento del bisogno ed è un patrimonio che non va disperso”.

Cosa può fare un allenatore quando non c’è il singolo caso da gestire, ma è tutto il gruppo a remare in direzioni opposte?

“E’ difficilissimo e complicatissimo. Se l’allenatore vede che non c’è seguito occorre onestà intellettuale. Mi viene in mente Maurizio Sarri. Il suo progetto è affondato negli uomini, non nel gioco. Un tecnico che non riesce a creare empatia e a incidere sul piano psicologico, deve andare via ancor prima di chiedere al gruppo “Il problema sono io?”. Parlavo prima di senso d’appartenenza e di giocatori formati nel settore giovanile. E’ un po’ di anni che a Salerno si latita sotto questo punto di vista. Se fossi un dirigente investirei lì piuttosto che su tanti calciatori con cultura e nazionalità differente. Quando le partite le vinci, è facile fare spogliatoio, le le strade per creare un gruppo compatto sono più snelle. Se inizi a perdere, ognuno va per conto proprio. L’Atalanta fa settore giovanile di altissimo livello da anni: oltre a un popolo straordinario al suo fianco, ha un progetto per il vivaio disumano. L’unica vera plusvalenza del calcio è questa”.

Eppure questa Salernitana non era più scarsa delle altre, si sente di attribuire responsabilità agli allenatori?

“Se volessi rispondere in modo salomonico, le suddividerei 25% a testa. Il problema, però, è diverso: il solo fatto di averne cambiati quattro fa capire che non c’è stata chiarezza programmatica. Sarò ripetitivo, ma senza idee chiare e programmazione non vai da nessuna parte. E ci vuole cuore, appartenenza, amore per la maglia, rispetto della gente. Ricordo la Salernitana 1998-99. C’erano talenti veri come Di Vaio, Di Michele, Vannucchi, Fresi. Tutti hanno giocato poi nelle big italiane, ma sapete chi è diventato campione del mondo? Gattuso! Perchè aveva cuore. Per un allenatore non è semplice ritrovarsi in un gruppo tanti calciatori provenienti da campionati diversi, che non parlano la lingua, con culture differenti. Che appartenenza e senso di responsabilità ci può essere se, mentre la squadra affonda in classifica, tu hai il problema di adattarti al nuovo calcio? E se poi manca una base solida che sia da guida per chi arriva non c’è speranza di arrivare al traguardo

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di Popolo Sportivo

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