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Gregucci: “Che grande squadra quella del 2004! L’Arechi salverà i granata”
16/11/2023
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Ospite del Gran Galà del calcio italiano, l’ex tecnico della Salernitana Angelo Gregucci ha parlato diffusamente della sua esperienza da calciatore lanciando un messaggio ai tantissimi giovani presenti in platea. Naturalmente non è mancato un momento dedicato ai colori granata, un angolo amarcord che riapre sempre con grande emozione. Ecco  le sue dichiarazioni in esclusiva a Popolo Sportivo:

Mister, quanto è cambiato il calcio di oggi rispetto a quello di una volta?

“Tanto. Vi faccio un esempio lampante. A 32-33 anni decisi di appendere le scarpe al chiodo. Arrivi a un certo punto del tuo percorso professionale in cui capisci che non reggi più a certi livelli. Quando hai marcato Van Basten, Maradona e campioni veri diventa quasi inconcepibile scendere di categoria o limitarsi ad affrontare avversari molto più scarsi. La fortuna, però, mi ha sempre accompagnato e ricordo che Carlo Ancelotti, alla Reggiana, mi chiede di restare in gruppo per dare una mano ai miei compagni. Solitamente il mister dava ai difensori la fotografia dell’attaccante da marcare la domenica successiva: vedevi l’immagine di Zico, per 30 secondi ti mettevi le mani nei capelli, poi studiavi l’avversario e nei 90 minuti davi il massimo per non fargli toccare palla.

Un giorno, però, si presentò al campo di allenamento con un videoregistratore e una cassetta, pensavamo fosse un gioco e che dovessimo vedere un film per fare gruppo. Invece erano le immagini della squadra avversaria. Ecco, Ancelotti è stato un innovatore anche sotto questo punto di vista. Prima non avevamo a disposizione strumenti che ci permettessero di conoscere tutto degli altri, dovevamo allenare noi stessi in funzione della tattica che sceglievamo di adottare. Oggi invece l’allenatore, che è parte fondamentale del gioco del calcio, è circondato da professionisti che si occupano di fase difensiva, fase offensiva, palle inattive, schemi, tattiche e movimenti. L’evoluzione è questa, se c’è la giusta interazione tra le parti può nascere un bel lavoro di gruppo. Mi consenta, però, di fare una riflessione…”

Prego…

“Ricordo un Salernitana-Perugia all’Arechi, col quarto uomo che mi invitava ad occupare le posizioni di mia pertinenza. Tradotto: dovevo star seduto all’interno della panchina. Mi arrabbiavo, non capivo il senso: sono quello che deve dare le indicazioni, che deve leggere la partita e fare le sostituzioni però ero nella posizione più scomoda dello stadio e a stento vedevo le gambe dei miei giocatori. Inconcepibile: dovrebbero essere i vari collaboratori a sedere dietro l’allenatore e il mister dovrebbe guardare lo sviluppo delle fasi di gioco dall’alto, avvalendosi poi degli strumenti tecnologici che la modernità ci mette a disposizione. Pioli, ex Salernitana tatticamente molto evoluto, ha inserito nello staff persone che, col tablet, gli sanno dire subito se a destra stanno soffrendo o se centralmente ci sono troppi spazi per gli avversari. Oltre a controllare prima dell’arbitro le immagini dopo un gol annullato o un episodio dubbio. La rapidità della comunicazione è essenziale, a patto che il responsabile dell’area tecnica abbia una visione diretta su quanto accade”.

E’ cambiato anche l’approccio dei giovani nei confronti dello sport?

“Tanti anni fa chiesero a un bambino di 5 anni quale sogno avesse nel cassetto. Disse che avrebbe voluto giocare con la maglia della sua nazionale. Gli riformularono la domanda, disse che voleva vincere i mondiali. Oggi un ragazzino ti dice che vuole andare in Arabia Saudita perchè si guadagnano tanti soldi. Ecco, il primo bambino è diventato Maradona, quel mondiale lo ha vinto per davvero ed è stato simbolo di un intero popolo. Oggi non vedo negli occhi dei più giovani la voglia di sognare, di puntare in grande, di capire che sono loro il futuro e la speranza. Io, calcisticamente, sono quasi verso la fine del mio percorso. Ho fatto tutte le categorie, da calciatore e da allenatore. Sono partito dalla C fino a collaborare con la Nazionale italiana. Metto a disposizione dei miei nipoti e di chi mi vorrà ascoltare tutte le competenze e quell’esperienza che non si compra al calciomercato. Sono felice di collaborare con il Frosinone, di aprire il mio bagaglio e chiedere ai giovanissimi di attingere quanto più possibile”.

Veniamo alla Salernitana. Come si spiega una tale involuzione da parte di una squadra quasi identica a quella che si è salvata alla grande pochi mesi fa?

“Sono annate, può succedere. Io credo che la Salernitana di Inzaghi abbia tutte le carte in regola per salvarsi e per restare in serie  A. Già il mio amico Davide Nicola, due anni fa, ha compiuto una impresa incredibile, che resterà per sempre nella storia del calcio. Il tempo a disposizione c’è, vedo che le dirette concorrenti non sono lontanissime e a volte basta una vittoria per uscire dal tunnel e ritrovare serenità e motivazioni”.

Nella sua prima esperienza a Salerno fu “protetto” molto dal direttore sportivo Imborgia. A Salerno non accade lo stesso…

“E’ vero, all’epoca della Salernitana avevamo difficoltà societarie ma si formò un corpo unico tra le varie componenti. Non parlerei solo di direttore sportivo, è necessarie formare un’area tecnica nella quale ogni professionista si senta parte integrante del progetto. I calciatori devono scendere in campo dando priorità alla Salernitana, al club che rappresentano, non a loro stessi. Solo così le prestazioni miglioreranno”.

A proposito di Salerno, qui a pochi metri c’è quello stadio che l’ha vista tra i protagonisti in tre momenti differenti…

“Nel 2004 ci arrivai quasi per caso, avevamo una squadra veramente forte. E, soprattutto, valorizzammo talenti del territorio. Ce n’era uno che veniva accusato di non saper crossare…è arrivato in Nazionale. E poi a Salerno ho vissuto delle serate bellissime. Il 4-0 sul Genoa primo in classifica, le gare con Catania e Ascoli nelle quali furono i 32mila dell’Arechi a spingere il pallone in porta. Finì male per motivi extracalcistici, ma ho allenato un gruppo di uomini e di calciatori che poteva ambire a ben altri traguardi. Nel 2014 arrivammo ai playoff, ma affrontammo un Frosinone obiettivamente superiore. La coppa Italia in bacheca ci diede comunque la spinta per un rush finale importante. Nel 2019 non è andata benissimo, ma vi assicuro che non accadde nulla di particolare. Mi limito a dire che, per fortuna, quella Salernitana alla fine si salvò”.

L’Arechi conta tanto?

“Salerno sa darti un amore incredibile, ti trasmette una passione che fa sempre la differenza e che ti spinge. Certo, come in tutte le coppie di innamorati c’è sempre quel momento di rabbia e di rancore, ma se sudi la maglia non c’è orgoglio che tenga. Io raramente ho visto una città legata alla propria squadra come questa, quando passo dalle parti dell’Arechi provo sempre la stessa emozione”.

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