Quello di domenica scorsa non è stato il solito Arechi trascinante che tutti abbiamo imparato ad apprezzare e che spesso fa la differenza. Gli ultras hanno cantato dall’inizio alla fine, ma complessivamente non c’è stata una grande partecipazione collettiva soprattutto negli ultimi minuti. A 5 minuti dalla fine, con il risultato di parità e una Juve che attaccava in 11 contro 10, il principe degli stadi non si è trasformato nella bolgia che fa tremare le gambe agli avversari.
Le motivazioni possono essere tante: il cattivo tempo, la classifica, la “consapevolezza” che sulla carta non ci fosse storia, lo scarso entusiasmo ed interesse che oggettivamente c’è attorno alla Salernitana, un periodo storico differente rispetto a quei magnifici anni Novanta in cui era per davvero il pubblico a vincere le partite. Sicuramente anche la presenza di almeno 6000 juventini ha inciso e non sono mancati momenti di tensione sugli spalti.
Niente di grave, ci mancherebbe: alterchi verbali rientrati in pochi secondi senza strascichi grazie al buonsenso, all’educazione e alla correttezza di una tifoseria che, in casa propria, è stata brava a non cadere nella trappola delle provocazioni. Diversi club hanno chiesto alla società di risolvere questa questione: l’Arechi è il fortino della Salernitana e c’è un settore apposito dove gli ospiti hanno diritto di cantare, tifare, esporre vessilli e anche “sfottere”.
E’ vero che tutto questo accade ovunque quando una big va in casa di una medio-piccola: le tre grandi hanno milioni di tifosi anche al Sud Italia e non tutti hanno senso d’appartenenza e sposano il concetto di identità. Se poi aggiungiamo parte della provincia di Salerno anti granata che, in base al calendario, indossa di volta in volta sciarpe nerazzurre, juventine, rossonere o biancazzurre allora il quadro è completo.
Sarebbe comunque importante che la società anteponga il fattore campo all’incasso. Certo, è giusto che un club che vuole autofinanziarsi attinga dal botteghino quanto più possibile. Tuttavia vedere un Arechi da “50 e 50” dà solo ulteriori vantaggi agli avversari e crea tensioni. Qual è la soluzione? Posto che ognuno è libero di tifare per chi vuole e di assistere alle gare in qualunque impianto sportivo italiano, l’anno prossimo (in caso di permanenza in A e a prescindere da dove si disputeranno le gare casalinghe)potrebbe essere opportuno studiare una campagna abbonamenti ad hoc che riscuota successo tale da lasciare agli “avversari” davvero pochissimi posti e tutti nel loro settore.
Un po’ come la stagione del 1998-99, con una base di 28mila abbonati e un Arechi stracolmo sia che si affrontasse l’Empoli sia che si ospitasse la Juventus. E quando Di Vaio castigò i bianconeri il boato fu totale e univoco, senza fette di stadio che imprecavano o che auguravano la retrocessione. Alla proprietà il compito di studiare una strategia atta a coniugare i legittimi interessi economici e la necessità di avere la spinta del pubblico.
Anche perchè, con prezzi così alti per certe gare, c’è davvero il rischio che il tifoso granata resti a casa e che l’ “avversario” arrivi da qualunque altra regione e non si ponga il problema economico. E’ fondamentale che tutti lavorino quotidianamente affinché Salerno e la stragrande maggioranza della provincia tornino a gioire, a piangere e ad arrabbiarsi solo per la Bersagliera. D’altronde che senso ha tifare “per chi ci chiama terroni”?