Solo per la maglia. Oltre la categoria. Concetti talmente scontati che quasi annoia ripeterli. Chi vi scrive ricorda con emozione quei pomeriggi in tribuna con gli amici di sempre per Salernitana-Poggibonsi e Salernitana- Borgo a Buggiano, senza dimenticare le trasferte romane e sarde ai tempi della serie D contraddistinte dal coro “marchio, colore, denominazione” che riecheggiava in tutti gli stadi d’Italia. Figuriamoci, dunque, se può spaventare o scalfire la passione sportiva un mesto ritorno in cadetteria.
Fatta questa doverosa premessa, possiamo dire che è del tutto incomprensibile questo clima di indifferenza e serenità col quale si sta chiudendo la stagione più brutta della storia della Salernitana. “Che importa se…” cantano i tifosi, quelli che hanno deciso di affiancare la Bersagliera a prescindere da ogni cosa, orgogliosi più che mai di essere innamorati della maglia granata e del cavalluccio marino.
A nostro avviso, invece, perdere la serie A è un disastro indicibile e, talvolta, la capacità di far fronte comune e inscenare una contestazione civile, ma intelligente può essere più determinante di un tifo incessante. Non è un attacco agli ultras, lo rimarchiamo. Chi ci legge sa quanta stima nutriamo nei confronti di chi, tra mille sacrifici economici e familiari, garantisce un appoggio costante alla Salernitana contribuendo da sempre ai successi della nostra squadra del cuore. E la presa di posizione di lunedì scorso è da standing ovation.
Tuttavia – lo ribadiamo – non comprendiamo come si possa passare, a tutti i livelli, da contestazioni a prescindere, teorie fantascientifiche, striscioni esposti in tutt’Italia e diserzioni di massa a una silente accettazione di un qualcosa calcisticamente parlando vergognoso. La sportività di Salerno e la capacità di vivere tutto senza andare oltre le righe certifica, sia chiaro, un salto di maturità collettivo che ci deve rendere fieri.
Lungi da noi proporre offese o qualunque altra cosa che non rientri nei canoni dell’educazione e della correttezza. Si può, però, creare un corpo unico tra curva, tifoseria organizzata, cittadinanza, stampa e amministrazione comunale almeno per capire quali siano le intenzioni del club?
Perchè perdere la A è un dramma sportivo, sociale ed economico per una piazza che era tornata a calcare palcoscenici di prestigio assoluto grazie ad un percorso sportivo che aveva pochi eguali nella storia del calcio. Serie D, Serie C2, Supercoppa, Serie C1, Coppa Italia, Serie B, Serie A, una salvezza strepitosa e un’altra a suon di record e con la capacità di fermare tutte le big e conquistare una serie incredibile di risultati positivi.
Una favola del genere può chiudersi con una Salernitana da 15 punti, 13 ko interni, 25 sconfitte complessive, 75 gol incassati, peggior attacco, un solo successo all’Arechi, quattro allenatori in panchina, il caso Dia, un gruppo spaccato e una proprietà che passa dal sinallagma d’amore a un no categorico ad un confronto pubblico, con tanto di segnalazione alle autorità competenti rispetto ad alcuni striscioni esposti in città?
Fa male, molto male retrocedere. Si è vanificata una grande scalata lunga 12 anni, tale da portare alla ribalta il nome di Salerno e della Salernitana e da illudersi di essere entrati in una dimensione mai assaporata prima. Riavvolgiamo il nastro e torniamo al 24 aprile di due anni fa. 23mila spettatori, Arechi che ribolliva di tifo ed entusiasmo, centinaia di bambini sugli spalti, Sabatini leader di un gruppo affamato di risultati, Nicola a caccia di un’altra impresa salvezza e la Fiorentina che cadeva all’Arechi sotto i colpi di Djuric e Bonazzoli, con esultanza social di Iervolino e il 7% che diventava realtà.
Oggi il video di quella partita è virale sui social, al punto che in tanti – versando anche qualche lacrima – non riescono a spiegarsi cosa sia potuto succedere per tramutare il sogno in un incubo. Perchè, dopo la prima salvezza, gli investimenti dell’estate 2022 e la seconda salvezza fatta di pareggi e vittorie all’Olimpico, dell‘1-1 a San Siro, del gol di Dia che gela i napoletani e dell‘1-0 sull’Atalanta al 94’, si pensava davvero che Iervolino fosse pronto a garantire un progetto di altissimo livello. Quello che i tifosi aspettavano da una vita, quello che la piazza meriterebbe per passione e attaccamento.
Alla Concordia sembrava di vivere su un’isola felice completamente tinteggiata di granata, con un grande allenatore che aveva finalmente oscurato il “fantasma” di Rossi, una squadra che, con un innesto di spessore per reparto, poteva crescere ancora, un presidente e la sua famiglia innamorati del pubblico e della Salernitana e un popolo che cantava in coro “Iervolino portaci in Europa”. Bastava poco. Pochissimo.
Su cosa sia successo ci interroghiamo da tempo, sulle responsabilità di questa sciagurata stagione ci siamo già espressi coinvolgendo nel disastro ogni componente pur con una doverosa suddivisione di percentuali. Torniamo a quanto già detto: in estate era troppo chiaro che si stesse andando in una direzione pericolosa e Salerno ha avuto il demerito di sottovalutare il pericolo, di preferire l’osanna a prescindere a un’analisi oggettiva, di non saper esprimere un contesto tale da criticare in modo costruttivo e intelligente prima che fosse troppo tardi.
Perchè, per colpa di qualche personaggio fortunatamente sparito nel nulla dopo aver battuto il record di fake news e di qualche pagina social anti Salernitana, c’era davvero un manipolo di folli che pensava che dietro una presa di posizione più dura ci fosse un rimpianto legato al passato, alla vecchia dirigenza, a quei presidenti che forse un grazie l’avrebbero meritato e che invece sono usciti di scena quasi in un clima di odio penalizzati da una regola in buona parte inaccettabile.
Che questo scempio calcistico sia almeno da insegnamento, anche se non ci speriamo più di tanto. Osanna a prescindere? No, aspettiamo i fatti. Jat a mar? Gente che non serve e che sosteniamo vada isolata per il bene della Salernitana. Vedove di Fabiani? Argomento di chi non ha argomenti, gli stessi che oggi difendono a spada tratta Sabatini che è stato tra gli artefici del salto all’indietro.
Che importa se, e sarà pure in parte vero. Saremo lì, in fila, al netto degli accrediti giornalistici, per sottoscrivere l’abbonamento anche se si passerà da San Siro al Tombolato. Siamo ancora parte di quella generazione del “gioca la Salernitana e tanto basta”. Aver dilapidato un immenso patrimonio con questa indifferenza e con un silenzio assordante, però, fa riflettere tanto. E’ stato rotto un giocattolo perfetto. Gli artefici hanno l’obbligo morale di riportarla dove l’hanno presa. E Iervolino ha tutto per tornare ad essere quel condottiero del quale il pubblico si è fidato da subito.