Si è chiusa ufficialmente oggi l’esperienza in granata di Morgan De Sanctis. Un addio sereno, come testimoniato dal comunicato stampa emesso quest’oggi dalla società. L’oramai ex ds si è dimesso rinunciando alle future spettanze, ma da tempo era circondato da un clima di sfiducia che sarebbe egualmente sfociato in un esonero (se ne facciano una ragione alcuni amici di quartiere oggi diventati barzelletta del web, al limite del patetico)
Già dopo il derby perso per 2-0 contro il Napoli, De Sanctis era stato virtualmente licenziato dalla proprietà che, però, non trovò un sostituto adeguato. L’arrivo di Sabatini, accolto con gioia dalla tifoseria, era soltanto preludio a quanto è stato sancito stanotte: stretta di mano, ringraziamento per il lavoro svolto e ognuno per la propria strada. Del resto l’ultimo posto in classifica e il rendimento della squadra sanciscono inequivocabilmente il fallimento del progetto tecnico avviato nell’estate del 2022, quando fu chiamato a sostituire proprio Sabatini tra lo scetticismo generale.
Sarebbe deontologicamente scorretto non riconoscergli meriti per il buon campionato disputato dalla Salernitana l’anno scorso. Siamo tutti d’accordo che il capolavoro di Paulo Sousa ha permesso a calciatori “normalissimi” di rendere ben oltre le proprie potenzialità, ma De Sanctis era al suo primo anno in veste di direttore sportivo e ha comunque portato a Salerno gente del calibro di Ochoa, Candreva, Dia (trattativa condotta davvero molto bene), Piatek, Maggiore (e in quel momento era un gran colpo) e Pirola. 5 milioni di euro, dall’Inter, per il capitano dell’under21. Niente male.
Tuttavia ci sono state una serie di dichiarazioni che hanno palesato alcune contraddizioni di fondo. La più famosa? Quel “moriremo insieme” utile – in quel preciso momento storico – a lanciare un messaggio distensivo e di serenità nei confronti dello staff tecnico capitanato da Davide Nicola che, post coppa Italia col Parma, non fu tenerissimo. “Io invece lo ringrazio, stia tranquillo perchè abbiamo messo in preventivo una partenza a rilento e ne terremo conto” disse l’ex ds.
In realtà Nicola (che De Sanctis avrebbe esonerato già dopo il 5-0 col Sassuolo) è stato esonerato due volte e il direttore sportivo rimase al suo posto senza rassegnare le dimissioni. Una cosa che ha sancito un primo strappo con buona parte della tifoseria. C’è poi la bocciatura di giocatori portati dai suoi predecessori e che oggi il pubblico rimpiange.
Djuric, Dragusin (non riscattato per 5 milioni di euro), Verdi (la famosa questione dell’email tardiva), Ederson (“Resta al 99%”), Ruggeri, Ranieri (che sarebbe tornato di corsa, a costi accessibili), quel ritorno di Bonazzoli mal digerito, l’addio ricco di tensioni con Radovanovic. E quella frase con cui esordì in conferenza stampa: “Ringrazio chi ha salvato la Salernitana, ma sarà difficile farlo ancora con soli 31 punti”. In realtà quel gruppo che fu in buona parte smantellato ne aveva conquistati, alla grande, 23 nel solo girone di ritorno e con quell’allenatore con cui non ha mai legato.
Va detto che l’arrivo di Sousa e non di Semplici fu una sua grande intuizione. L’alternativa sarebbe stata Farioli che, oggi, lascia l’Europa calcistica a bocca aperta per quanto sta facendo. E non fu sufficientemente ascoltato quando sconsigliava ritorni onerosi o ritiri rivelatisi, poi, totalmente inutili così come qualche rinnovo contrattuale. Da giugno in poi, tuttavia, l’inesperienza è emersa in pieno. A partire dalla gestione dei casi Sousa e Dia, con mea culpa tardivo e alla vigilia della gara col Bologna. Un doppio autogol.
E poi lo sbaglio più grande: non rinforzare una difesa che aveva subito 62 gol e che aveva perso, nel frattempo, anche Troost Ekong. “Stiamo bene così” disse in conferenza stampa, inseguendo per un mese quel Facundo Gonzalez che in B sta faticando con la maglia della Sampdoria. Ad oggi la sua Salernitana ha preso 100 gol in un anno e mezzo mentre il suo predecessore, con trust e senza soldi nè società, formò un quartetto di gente che, attualmente, ben figura in competizioni europee. Altro che Lovato, Bronn, Sambia (pluriennale da un milione di euro netti) e Daniliuc.
E c’era anche chi in estate, sommessamente, gli faceva notare che mancasse un vice Bradaric, che ci fossero giocatori esperti svincolati a costi accessibili, che il centrocampo fosse numericamente scarno e dipendente da Coulibaly, che non si potesse affidare l’attacco a Botheim, Valencia, Ikwuemesi, Tchaouna e Stewart stanti i mal di pancia di Dia. Se aggiungiamo il no a Soulè, i silenzi quando c’era da esporsi pubblicamente, la classifica, il buco di bilancio, gli zero innesti dal mercato italiano e l’indice di gradimento della piazza il gioco è fatto.
Un anno e mezzo comunque intenso, ricco di momenti anche di tensione. Con la risposta in inglese ad alcune società di Premier, il coro a Santa Teresa con gli ultras, un ultimo posto e una salvezza da applausi, Sousa sedotto e “abbandonato”, tanta buona volontà ma risultati disastrosi da agosto a questa parte. Nel calcio, giusto o sbagliato, conta solo questo. E oggi è giusto che le strade si separino.